La presenza dell'Architettura latino-americana nel premio internazionale Frate Sole

Arch. Giorgio Della Longa

 

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Il Premio Internazionale di Architettura Sacra, promosso dalla Fondazione Frate Sole di Pavia è stato fortemente voluto da Costantino Ruggeri, frate francescano e artista, scomparso nel 2007. L’opera di Padre Costantino ha ricevuto ampio riconoscimento nell’ambito dell’arte e dell’architettura sacra contemporanee.

La Fondazione ha tra i suoi scopi quello di sensibilizzare e promuovere la “chiesa costruita”, perché vengano riconosciute la componente artistica e la tensione mistica che elevano lo spazio in luogo di esaltazione spirituale.

È con questa consapevolezza che la Fondazione ha istituito un premio quadriennale da assegnare all’autore di un’opera che abbia significativamente qualificato l’architettura cristiana contemporanea. Il premio è rivolto ai nuovi edifici religiosi nell’ambito delle confessioni cristiane realizzati in tutto il mondo.

Sono cinque le edizioni del Premio Internazionale svolte a partire dal 1996, con una numerosa partecipazione di architetti provenienti dal mondo intero; hanno inviato i loro contributi circa 370 architetti singoli o riuniti in gruppi. Gli architetti latino americani che hanno partecipato sono stati complessivamente 40.

Anche se risaputo, questo è l’elenco dei vincitori: Tadao Ando (1996), Álvaro Siza (2000), Richard Meier (2004), John Pawson (2008) e il cileno Cristian Undurraga nell’ultima edizione del Premio (2012).

   

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Da diversi anni sono impegnato nella Commissione di giuria, oltre a far parte del Comitato scientifico della Fondazione.

Devo fare una confessione. Credo sia un grave limite che - per ragioni pur comprensibili - coloro che partecipano ai lavori della giuria difficilmente sono entrati in diretto contatto con le opere giudicate. Io ho potuto visitare alcune chiese, di solito dopo i lavori della commissione. Ho potuto comprendere solo in quel momento la reale portata dell’opera che, talvolta, sovvertiva la mia opinione di giurato.

Sono convinto che solo il reale contatto con l’opera permetta di acquisirne il significato e misurarne la qualità. Il rischio, viceversa, del premio alla miglior resa fotografica dell’architettura, è sempre molto forte.

Con questa doverosa premessa vado ad analizzare il ricco contributo offerto dall’America latina.

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Nella prima edizione del Premio i concorrenti latinoamericani non sembrano aver compreso bene l’obiettivo della manifestazione.

Dall’Ecuador alla Bolivia, giungono testimonianze di imponenti basiliche arroccate saldamente alla tradizione.

La Catedral de la Inmaculada Concepción, a La Vega, nella República Dominicana, si distingue per la ricerca di un equilibrio tra monumentalità e linguaggio moderno, anche se sopratutto in questo grande edificio l’osservatore occidentale è colpito dalle dimensioni fuori dall’ordinario.

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Nell’edizione 2000 ricevono “menzioni particolari” i tedeschi Hoger e Hare, i norvegesi Lund e Slaatto, e il cileno Enrique Browne per la cappella di uno studentato a Santiago del Cile.

Si tratta di un spazio per il culto annesso al preesistente Colegio Villa Maria Academy, della Congregación de las Hermanas, Siervas del Inmaculado Corazón de María, congregazione che ha visto la luce a Monroe nel Michigan e si è ramificata con una sede anche in Chile.

L’edificio si contraddistingue per l’immaginifico linguaggio che, in questo caso, interpreta il chiaroscurale effetto di un cielo in cui viene catturato il movimento delle nuvole. Gli squarci di luce generano questo tipo di suggestione. Pare uno spazio plasmato dal soffio del vento, metafora dello Spirito Santo.

In qualche modo debitore alla bianca onda cementizia della chiesa di Bagsværd del danese Jørn Utzon, questo edificio merita l’attenzione dedicata dai media e anticipa quello che saranno il tratti caratteristici e qualificanti delle proposte provenienti dai Paesi latino americani; la piccola dimensione e, anche se qui espressa in termini allegorici, la tensione verso lo spazio aperto, in questo caso, l’immensità del cielo.

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Nell’edizione 2004, tra le proposte presentate spiccano appunto gli interventi di piccola dimensione:

il Templo da Paz all’interno del Universidade Positivo, istituto universitario privato brasiliano, a Curitiba, Brazil, di Manoel Coehlo e la Capilla “Fazenda Veneza” a Valinhos, San Paolo, di Decio Tozzi, entrambi architetti brasiliani.

In questa edizione, insieme allo statunitense Victor Trahan, viene “segnalata” dalla giuria l’opera del colombiano Daniel Bonilla, per la ‘forte qualità poetica dello spazio ottenuta con l’uso sapiente dei fenomeni di luce, l’impiego dei materiali e la purezza della composizione’. Si tratta delle cappelle del Colegio Los Nogales e della Porciuncola de la Milagrosa, nei pressi di Bogotà in Colombia, edifici promossi da committenti privati.

Due interventi molto pubblicati in Europa, caratterizzati da un complesso e dinamico rapporto tra interno ed esterno.

La prima cappella è un prisma elementare a servizio del culto del Colegio Los Nogales, istituzione educativa fondata per promuovere la formazione cattolica. Uno spazio essenziale segnato dalla luce, un interno per un centinaio di fedeli che può spalancare le porte ad una comunità di duemila fedeli riuniti all’aperto.

Le grandi porte sono il tratto caratteristico della cappella come, nello stesso anno, a Monaco di Baviera, la Herz-Jesu-Kirche spalanca le sue gigantesche porte sul sagrato.

Ma qui il gesto non è solo simbolico ma funzionalmente accogliente.

La Capilla Porciúncula de la Milagrosa, è uno spazio minimale caratterizzato da una essenziale geometria determinata da un precario diaframma, quasi un velario, che pone l’interno in dialogo con l’esterno. Costitutiva è infatti, la mutevole relazione con l’esterno, con il silenzio, il vento, la luce.

In entrambe le cappelle il cambio di orientamento tra l’assilità dello spazio interno ed esterno, genera una croce virtuale d’uso.

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Nel 2008 nonostante la scarsa partecipazione, solo 3 proposte su 52, un progetto latinoamericano viene segnalato, con altri, dalla giuria.

Si tratta della cappella la Fazenda Veneza che l’autore, il brasiliano Decio Tozzi, ripresenta dopo la partecipazione nel 2004.

Voluta da un committente privato, la piccola cappella all’aperto è costituita da due elementi plastici che determinano uno spazio nella continuità del paesaggio: una copertura ricurva che protegge l’uomo innanzi ad una grande croce che sorge dall’acqua.?Questo poetico luogo di culto privo di mura, si pone in dialogo così con la possente e mutevole natura.

L’attenzione va inoltre alla piccola costruzione promossa dall’AIS, Fundación Ayuda a la Iglesia que Sufre “Capillas de Emergencia: Reconstruyamos Chile con Cristo”.

La richiesta è quella di realizzare un prototipo di cappella per le comunità rurali delle regioni centrali del Chile che possa adattarsi alle specifiche condizioni climatiche e culturali.

Sebastian Vega, Fernando Bravo, Francisco Allard sono gli autori della Capilla del Buen Pastor, piccola opera prefabbricata e a basso costo realizzata a La Ligua, a metà strada tra l’immagine di una cappella e della tipica casa rurale.

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Notevole sia per quantità che per qualità è stata la partecipazione degli architetti latinoamericani nell’edizione successiva, l’ultima in ordine di tempo.

Le chiese di piccola dimensione in questa occasione trovano uno scopo di drammatica necessità. Il Chile è pesantemente colpito dal terremoto nel 2010 e l’ottanta per cento degli edifici di culto dell’area terremotata è fuori uso. Le popolazioni non hanno più un posto per pregare.

L’AIS Fundación, promuove e realizza 45 piccole chiese provvisorie a servizio delle popolazioni colpite. Interventi a basso costo e di rapida costruzione.

La bianca copertura della cappella è metafora del manto della Vergine del Carmine, che copre e protegge i fedeli, quale forte richiamo alla devozione popolare.

L’autore delle Capillas de Emergencia è il cileno Gonzalo Mardones - Architecture Studio.

Analogamente, l’Archdiocese di Concepción, commissiona una cappella a sostituire una chiesa distrutta dal terremoto. La Capilla María Auxiliadora a Cerro Estanque, piccola costruzione orientata ad est, rivestita in acciaio corten e legno con un candido interno segnato da uno squarcio di luce, è progettata da Rubén Muñoz Rodríguez.

Un committente privato invece incarica il gruppo cileno 57Studio, per la Capilla El Roble nella regione Bío-Bío in Chile.

Si tratta ancora di una cappella di alta qualità architettonica, elegante costruzione immersa nel verde e qualificata dal rapporto con l’ambiente naturale in cui è inserita. La vetrata continua relaziona il piccolo spazio con la foresta di acacie che la circonda.

L’edizione 2012 promuove vincitore il cileno Cristián Undurraga con la Capilla del Retiro a Los Andes Valley, Chile, un’opera che in qualche modo ha catalizzato l’ampio consenso ricevuto soprattutto dal Chile.

Commissionata dal Monastero Carmelitano di Auco, la cappella, situata ai piedi delle Ande centrali cilene, sorge accanto alla Casa di Spiritualità del Santuario di Santa Teresa de Los Andes, luogo di raccoglimento in preghiera per i pellegrini.

Lo scavo è il primario gesto per radicare ogni edificio-chiesa ma in questo caso lo scavo rimane aperto e, al suo interno, un composto reticolo di travi sorregge un cubico elemento protettivo. Il raccolto spazio cultuale si espande grazie alle vetrate continue che lo dilatano nella natura. Pare non ci sia soluzione di continuità tra interno e esterno; questo è il carattere determinante dello spazio. Credo che il fedele sia fortemente influenzato dal trovarsi interamente circondato dall’aspra natura del luogo, protetto ma non confinato dallo pseudo-ciborio sospeso.

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Concludiamo con un gruppo proveniente dal Mexico, dal Paese che ci ospita.

Si tratta di BNKR Arquitectura, autore di due opere al limite che potremo per convenzione definire cappelle.

La prima, promossa da Jardín La Estancia, è situata all’interno di un bellissimo giardino a Cuernavaca, nel quale si organizzano cerimonie nuziali. Cuernavaca, la “città dell’eterna primavera”, è molto popolare per i matrimoni e questo spazio è pensato proprio per celebrare il rito nuziale. Lo spazio è perimetrato da setti vitrei in modo discontinuo; luce, vento, suoni, profumi penetrano nell’algido interno segnato da una grande croce nel fondale.

Parte da un concetto opposto il secondo lavoro: una cappella per piangere la morte di una persona cara è la Capilla del Atardecer, anch’essa situata all’interno di un magnifico giardino, sopra la baia di Acapulco. La richiesta del committente era quella di poter godere dalla cappella della magnifica vista del paesaggio circostante e che fosse orientata esattamente per ricevere il sole dalla croce nei giorni dell’equinozio. Poeticamente aspra, una prisma scultoreo interamente realizzato in calcestruzzo armato ma anch’essa aperta alla luce a all’aria, la cappella pare un masso in precario equilibrio tra i blocchi granitici in cima alla montagna.

 

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In conclusione, credo sia da rimarcare la significativa partecipazione dei Paesi latino americani, in cui spiccano sopratutto le opere molto apprezzate provenienti dal Chile, la cui partecipazione è stata suggellata con l’importante riconoscimento ottenuto da Cristian Undurraga.

Un’osservazione riguardo alla piccola dimensione: pare davvero che l’espressione della buona architettura sia favorita dalla piccola dimensione ed è sorprendente il numero e la qualità di lavori di questo tipo.

I committenti si sono affidati a buoni architetti per opere, talora discutibili, ma certamente di notevole interesse. Da osservatore mi domando se anche i complessi parrocchiali, gli edifici di maggiori dimensioni e funzionalmente più complessi che certamente continuano a sorgere in America latina, sono supportati da una committenza altrettanto illuminata e disponibile a mettersi in discussione. Penso di potermi rispondere che così non è.

Ho voluto sempre segnalare i committenti. Se togliamo l’ente per le cappelle d’emergenza a seguito del terremoto in Chile, tutti i promotori delle opere sono singoli privati o organizzazione private.

Questo fatto getta una luce particolare sulle opere presentate. La percezione è quella di trovarsi di fronte a occasioni fortunate, a lavori d’élite. Una élite certamente capace di promuovere buona architettura ma che rappresenta ben poco, penso, dei complessi fenomeni di religiosità diffusa in questa parte del mondo.

Le esigenze della Chiesa e delle chiese di tutti i giorni pare proprio sfuggire all’osservatore esterno e probabilmente è rappresentata più dalle chiese presentate nella prima edizione del premio, le immobili grandi basiliche per le masse, che dai raffinati lavori qui presentati.

Non posso fare a meno di ricordare qui l’ultimo numero della rivista Chiesa e Quartiere, quello sull’America latina del 1968. Gli articoli che, tutti indistintamente, sbattono in faccia il drammatico problema della popolazioni povere, delle periferie emarginate, mentre in Europa erano quegli gli anni del cosiddetto boom economico. Giuliano Gresleri nella premessa invoca l’attenzione per la parte “più dolorante, più inascoltata, più povera del mondo”.

Ecco, a Pavia, non pare sia giunta eco di come, a distanza di cinquant’anni, questo drammatico stato sia evoluto, di quali risposte siano state date anche in termini di architettura.

Per finire devo citare un testo di Estéban in cui ricordava come le cappelle degli indios o cappelle aperte messicane sono state considerate “L’innovazione più radicale dell’America prima dei grattacieli”. La loro origine è il risultato di un’evangelizzazione realizzata non in modo graduale ma in modo massiccio. I missionari iniziarono ad istruire i nuovi cristiani sotto costruzioni temporanee, ovvero semplici altari protetti da un tetto di paglia o legno. Una soluzione che favorì l’accostamento degli indigeni ai nuovi riti, svolti nell’ampio spazio aperto per loro abituale. Col passare del tempo le cappelle aperte acquistarono forme permanenti, con un carattere proprio, conoscendo il massimo splendore a metà del XVI secolo.

La loro eredità è stata rimodellata in diverse forme nell’architettura moderna latino americana, dalla cappella che Félix Candela realizzò a Lomas de Cuernavaca alla straordinaria Capilla de San Pedro, chiusa da soli vetri, di Paulo Mendes da Rocha.

Le piccole chiese presentate costituiscono testimonianza dell’incessante rinnovamento di questa tradizione.


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