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IL MUSEO DIOCESANO “MONS. AURELIO SORRENTINO” DI REGGIO CALABRIA

Lucia Lojacono

Istituito da mons. Giovanni Ferro il 25 gennaio 1957 e inaugurato il 7 ottobre 2010, il Museo diocesano di Reggio Calabria è sito al pianterreno dell’ala tardo-settecentesca del Palazzo arcivescovile costruito sulle rovine di un preesistente edificio, sorto accanto alla Cattedrale alla fine del Cinquecento.

La narrazione che ispira l’allestimento intende restituire alle opere esposte la memoria della loro funzione originaria, in modo da farne emergere i significati simbolici e i nessi altrimenti perduti con la comunità religiosa cui esse appartennero e con lo spazio sacro per il quale furono realizzate. Il percorso espositivo del Museo diocesano documenta, in particolare, le distinte identità storica e religiosa delle antiche sedi episcopali di Reggio Calabria e di Bova, fuse nel 1986.

Le opere sono accolte in spazi tematici dedicati, tra gli altri: ai Frammenti della memoria, ove sono marmi sei-ottocenteschi appartenuti all’antica Cattedrale (fig. 1);al Tesoro delle Cattedrali,

ove si espongono pregevoli argenterie sacre databili tra Cinque e Novecento (fig. 2); alle insegne che contraddistinguono la dignità e il ruolo del vescovo, ove risalta il ruolo dei singoli prelati in qualità di committenti di opere d’arte dal Quattrocento ad oggi; al rapporto tra Arte e devozione, con suppellettili e vesti liturgiche appartenute alle confraternite reggine, e tra Arte e culto dei Santi, con pregevoli reliquiari e corredi di immagini sacre.

Tra le opere più significative esposte sono, seguendo il percorso: due frammenti di colonnine (sec. XII) in pietra di Siracusa, provenienti, probabilmente, dalle rovine della chiesa abbaziale di Santa Maria di Terreti; la Resurrezione di Lazzaro (fig. 3) attribuita al pittore napoletano Francesco De Mura, allievo di Francesco Solimena (terzo decennio sec. XVIII); l’Ostensorio raggiato (fig. 4) disegnato dal polistenese Francesco Jerace nel 1928, in occasione del Congresso Eucaristico regionale svoltosi a Reggio Calabria; un raro calice con Storie della Passione a sbalzo su piede, fusto e sottocoppa, opera di una bottega d’Oltralpe (primi decenni sec. XVII); il settecentesco Reliquiario a braccio di San Giovanni Theriste, le cui reliquie furono consegnate da Apollinare Agresta, abate del monastero italo-greco di Stilo, a monsignor Marcantonio Contestabile, vescovo di Bova dal 1669 al 1699; il Bacolo pastorale (fig. 5) di mons. Antonio de Ricci, arcivescovo di Reggio dal 1453 al 1490, opera in argento e smalti di scuola napoletana; un Crocifisso in avorio donato alla Cattedrale dall’arcivescovo Alessandro Tommasini (1818–1826); un calice in argento e smalti opera dei francesi fratelli Demarquet, dono nel 1879 della regina di Spagna Maria Cristina al cardinale Luigi Tripepi; pregevoli manufatti tessili appartenuti alla Confraternita dell’Immacolata nella chiesa della SS. Annunziata e, tra essi, un parato nobile in broccato di seta, opera di manifattura lionese (secondo quarto sec. XVIII); due coppie di candelabri rimossi dalla Vara processionale della Madonna della Consolazione, dei quali due, con Angelo reggicornucopia, sono opera del napoletano Catello del 1885


L’attività educativa è componente essenziale della missione di ogni museo e, in modo del tutto speciale, lo è per i musei ecclesiastici. ‘Dialogare’ e ‘appassionare’ sono i verbi e le azioni tipiche di chi educa: il Museo diocesano di Reggio Calabria li ha fatti propri da subito prevedendo nel proprio Regolamento la creazione dei ‘Servizi educativi’, un’équipe di educatori (fig. 6), con specifiche competenze in materia di beni culturali e di scienze dell’educazione, in particolare provenienti dalle file dell’associazionismo cattolico, cui affidare la progettazione e la proposta di attività didattiche rivolte alle Scuole e di arte e catechesi alle Parrocchie. Consapevoli che, con le parole del cardinale Carlo Maria Martini, “educare è difficile, educare è possibile, educare è prendere coscienza della complessità, educare è cosa del cuore, educare è bello”, il Museo diocesano accoglie una sfida difficile, ma possibile.


Consapevoli di quanto, per il cambiamento in atto nella società e nelle comunità, il museo contemporaneo sia sempre più luogo d’incontro tra culture differenti, proviamo a ‘costruire ponti’ proponendo esperienze educative (fig. 7) che nel rispetto delle diverse identità culturali, di origine e di arrivo, promuovano la convivenza armoniosa tra vecchi e nuovi cittadini, basata sul principio che le diversità culturali possano comunicare tra loro, arricchendosi reciprocamente. Il Museo diocesano è quotidianamente meta di scolaresche ormai multiculturali, alle quali, durante la visita, ci si rivolge in modo da favorire e attivare un dialogo tra religioni diverse, provando a infrangere steccati.

Sebbene loro prima finalità resti conservare, conoscere e valorizzare il patrimonio storico-artistico dei luoghi di culto del territorio cui si riferiscono, oggi i musei ecclesiastici sono chiamati ad assumere nuove responsabilità, ad esempio partecipando alla riflessione sulla produzione dell’arte contemporanea, fornendo adeguate chiavi di lettura ai propri visitatori per avvicinarli ad un’arte che sfugge a criteri e convenzioni consolidate e che, pertanto, è percepita spesso come qualcosa di incomprensibile, se non di provocatorio. Consapevole di ciò il Museo diocesano di Reggio Calabria avverte l’urgenza di allargare lo sguardo alla complessità del presente e di partecipare al dibattito sull’arte sacra contemporanea, attivando un dialogo con gli artisti, con le loro ricerche e con le istituzioni accademiche che si occupano della loro formazione.


In tal senso una prima significativa esperienza è maturata nel 2017, attorno alla Mostra Rinascere dal dolore. Un’opera di Claudio Parmiggiani per la Casa Museo di padre Pino Puglisi: un’iniziativa promossa da AMEI (Associazione Musei Ecclesiastici Italiani) nel ventennale della propria nascita, con l’intento di esprimere il segno forte e deciso della contemporaneità e dell’impegno civile. Undici i musei ecclesiastici italiani che avevano ospitato l’opera di Claudio Parmiggiani, tra i protagonisti del panorama artistico internazionale, prima che giungesse a Reggio Calabria: una staffetta virtuosa attraverso musei che accolsero la sfida del contemporaneo con spirito critico e volontà di conferirle carica significante. La scelta di Claudio Parmiggiani era nata dal sentire una forte assonanza con la sua arte, con la sua poetica: fare arte, afferma l’artista, è “un atto di resistenza civile”, ma al contempo una meditazione sull’uomo. L’opera esposta in Mostra fu ideata pensando alla sua destinazione finale, la Casa Museo di padre Pino Puglisi di Palermo, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993: il modesto appartamento del quartiere Brancaccio accoglie il Centro di Accoglienza Padre Nostro, che continua l’attività del sacerdote palermitano rivolgendosi ai tanti giovani palermitani che rischiano quotidianamente l’emarginazione o il coinvolgimento nella criminalità organizzata.

Il dono dell’opera di Parmiggiani da AMEI alla Casa Puglisi dimostrò che i musei ecclesiastici possono diventare straordinari attivatori di sviluppo, luoghi di inclusione e di confronto, spazi di riflessione nei quali formare una coscienza civile e far crescere la consapevolezza che dal dolore si può rinascere.

Il Museo diocesano di Reggio Calabria è quanto fin qui descritto e tanto altro ancora. Nella ricorrenza del decennale 2010-2020 dell’apertura al pubblico esso è sempre è più consapevole che una proposta educativa ‘alta’ nasca solo da un progetto condiviso tra le parti, museo, territorio e scuola insieme, accogliendo un’interazione tra competenze diverse e metodologie disciplinari e professionali distinte ma complementari. Si attiva, così, a beneficio del patrimonio culturale diocesano e della comunità di riferimento, quell’incrocio di sguardi e abilità diverse che sostanzia la mission del Museo diocesano, conferendo qualità e ‘senso’ alla sua proposta educativa.

 


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